VITTIME DELLA 180
Le testimonianze che mostrano come la 180 sia inefficienza, crudeltà, sfruttamento, superstizione

Vittime della 180

Dimostrare che la legge 180 è dannosa e, spesso, omicida

La schizofrenia di un figlio

Andrea era appena tornato da una vacanza sciistica con gli amici.  Brillante studente dell’ultimo anno del Liceo, aveva organizzato nelle ferie di Natale una settimana bianca con i compagni di classe.  Tornato a casa stranamente silenzioso, si era ritirato in camera.

Ne era uscito, barcollando stravolto, dopo una mezzora. Aveva cominciato a smaniare accusando strani malesseri. La testa gli scoppiava, non capiva più niente.

Mentre i genitori e i fratelli  terrorizzati gli stavano intorno, la crisi era andata aumentando.  Alternava scoppi di pianto a strani mutismi.   Alla fine era stata giocoforza chiamare una autoambulanza, che aveva portato  il ragazzo al Neurodeliri.

Da quel momento la sua vita e quella della famiglia cambiano totalmente: in casa e’ entrata la schizofrenia.   La scuola viene interrotta, gli amici non si vogliono più  vedere, la ragazza lo lascia.   Incomincia la solitaria esistenza del malato di mente che, chiuso in casa, alterna crisi violente a lunghi periodi di totale abulia.   I familiari si trovano di fronte ad un individuo completamente diverso: il ragazzo intelligente, gentile  e volitivo che conoscevano si trasforma lentamente in un abulico a tratti violento.  Sciatto e trasandato, l’igiene personale diventa un dramma di tutti. Fargli fare una  doccia e convincerlo a lavarsi i denti costituisce un evento memorabile.   Il rapporto con il cibo è difficile e causa di continue, violenti liti: alterna periodi di diete inverosimili ad altri in cui saccheggia tutto ciò che c’e’ in casa.   La convivenza è a volte impossibile: a parte le botte, c’è da parte sua  una continua violazione degli spazi degli altri familiari, specie dei fratelli più piccoli.  D’altra parte rivendica in continuo il suo diritto  a fare tutto ciò che gli piace, anche quello che chiaramente causa disturbo a tutti gli altri membri della famiglia.  Il sonno e’ un problema: non ha lavoro e non ha nessun hobby.  Dorme di giorno e sta sveglio di notte, camminando continuamente nella sua camera e tenendo svegli i terrorizzati  fratelli.

D’altra parte gli rimangono gli impulsi ed i desideri di un normale ragazzo della sua età. Soffre della sua situazione.  Ha bisogno di un affetto.  Ha bisogno di sfogare la sua sessualità.   Dopo qualche tempo la madre o la sorella diventano oggetto delle sue richieste sempre più pressanti, a volte anche violente.

Con gli anni si calmerà: la malattia, in particolare i deliri -le voci che sente e non si placano mai- gli distruggono lentamente le facoltà mentali.  Dopo trenta anni, il brillante studente di una volta, se abbandonato a se stesso, è uno di quei barboni che girano per la città parlando da soli, isolati nel loro delirio. La famiglia intanto si è sgretolata.

I genitori, se possono, hanno mandato via i fratelli. La loro esistenza scorre in uno stato di completa precarietà: non si può fare un minimo programma.  Non si sa se si può andare in ferie, non si sa neanche  cosa si farà domenica.  E` la malattia che comanda.

Ci si accontenta di vivere alla giornata cercando di non  pensare al senso che può avere una siffatta esistenza ed a cosa succederà di questo disgraziato e pur amato figlio quando i genitori non ci saranno più.

E la cosa ancora più tremenda è la sensazione dell’inutilità del sacrificio: dopo qualche tempo ci si  rende conto che quello di cui il ragazzo avrebbe bisogno, quello che forse gli permetterebbe di arrestare il decorso della malattia, è proprio quello che la famiglia non gli può dare.   Il sacrificio dei genitori, la distruzione dell’esistenza dei fratelli non è servita neanche per un attimo ad alleviare la sofferenza del malato ed ad arrestare,  come si potrebbe, il decorso della  cronicizzazione.

Il malato deve essere costretto alla cura.  Ma la famiglia non ha su di lui l’autorità sufficiente ad imporgli di prendere regolarmente le medicine.

Il malato deve essere continuamente stimolato alla  realtà: è per lui indispensabile dimenticare il delirio, concentrarsi sugli aspetti normali dell’esistenza.

Valorizzare le capacità che tuttora ha: la natura, il senso del bello, l’attività fisica e sportiva.  Vincendo però l’apatia della malattia.  E la famiglia non ha questa capacità di stimolo.

Anche il malato ha diritto alla parte di felicità che la sua sventurata esistenza può comportare: qualche amico, magari l’affetto di una compagna di sventura, un lavoro compatibile con le sue capacità.   Ma la famiglia dove  può trovare queste cose che richiedono una organizzazione anche economica che va ben al di là delle capacità dei singoli?

E’ stato descritto l’evolversi della malattia in un malato  grave.  Non tutti i casi, per fortuna sono così.  Come in tutte le malattie ci sono i casi gravi ed i casi lievi.

Ci sono anche quelli che hanno una sola crisi e che poi ritornano a condurre una esistenza normale o quasi.  Al riguardo riportiamo le parole di un Primario “Oggi come cento anni fa, il 10-15% dei malati guarisce.  Il 10-15% si avvia verso forme più o meno gravi di demenza.  Il resto manifesterà per tutta la vita più o men accentuati deficit psico – sociali”.   Sembra che oggi la percentuale delle remissioni dopo la prima crisi, sia salito al 20-25%.

Del resto si può capire: come tutte le malattie endogene – come il diabete, come le sclerosi, come le artriti – è inguaribile .Se ne rilevano e se ne curano solo  i sintomi.     Tra l’altro la diffusione della malattia mentale grave – la psicosi – è larghissima: è la patologia più comune dopo le forme cardio-vasco-circolatorie.  E` più diffusa del cancro.  Molto più diffusa di malattie più note, come l’AIDS  o le tossicodipendenze.   Sono circa 500.000 in Italia che soffrono di queste patologie.   Ed il peso sociale di queste malattie è altissimo.