Cosa diceva Basaglia
Riassunto da “Istituzioni della violenza”
Basaglia afferma che il suo è un discorso antiistituzionale ed antipsichiatrico che non può mantenersi ristretto alla psichiatria, ma va allargato alla società.
Del resto la realtà manicomiale è stata superata, ma “ non si sa quale potrà essere il passo successivo “. …..”La vie aperte sono comunque due: o si è complici del sistema manicomiale o si agisce e lo si distrugge. “
Gli altri psichiatri definiscono le sue tesi prive di serietà e rispettabilità scientifica. La cosa lo lusinga perché lo accomuna agli ammalati le cui tesi sono pure prive di serietà.
Punto fondamentale è la violenza che l’istituzione esercita nei riguardi del suddito. La madre sul figlio, la scuola sugli allievi, il manicomio sul malato. Per cui scuola, famiglia, carcere, manicomio vanno definite come “le istituzioni della violenza “.
In particolare il manicomio distrugge il malato mentale.
I tecnici, gli psichiatri sono gli adattatori della violenza a nuovi schemi: la mistificano senza alterarla. Il considerare il malato di mente come malato è già sbagliato: lo pone nel ruolo di oggetto da parte degli psichiatri e dell’istituzione e quindi di se stesso. Unica possibilità di soggettivare il malato è la psicoterapia individuale e di gruppo, che però è in genere consentita solo al malato libero.
Vi sono anzi tre tipi di approccio al problema:
- aristocratico: quando il paziente è pagante
- mutualistico: quando il paziente non è pagante
- istituzionale: il manicomio
Questa analisi evidenzia che “ il problema non è la malattia in sé, ma quale sia il tipo di rapporto che viene ad instaurarsi con il malato, in quanto la malattia gioca un ruolo puramente accessorio”.
In realtà i ricoverati nei manicomi non sono malati, ma sono gli elementi socio-economicamente insignificanti che sono stati spinti fuori dal sistema produttivo. La psichiatria esercita su questi malati una ulteriore violenza che tende ad aiutarli ad adattarsi alla loro condizione di oggetti della violenza.
Si potrebbe allora fare la comunità terapeutica, sulla base di quanto fatto in Inghilterra da Maxwell Jones. Agendo così, però, se si leva al malato tutta l’oggettivazione che la società gli ha dato, per vedere solo la malattia, magari non resta neanche questa.
L’atto terapeutico si rivela un atto politico di integrazione, nella misura in cui tende a ricomporre, ad un livello regressivo, una crisi già in atto. L’aggressività del malato è frutto di questo stato di oggettivazione in cui viene tenuto.
La malattia è legata, nella maggior parte dei casi, a fattori socio-ambientali. La soluzione non può che essere quindi, socio-ambientale.
Frammenti
- Cosa ha annientato il malato ? L’autorità. Per riabilitarlo occorre abituarlo a ribellarsi
Dato però che il nostro sistema sociale non è interessato alla riabilitazione del malato mentale, in quanto non ha lavoro neanche per i sani, bisogna riformare anche la società.
- Le aggressività e le sconvenienze del malato sono il suo modo per dire che c’è.
- Con questi nuovi sistemi i malati guariscono di più? E’ difficile rispondere in termini quantitativi