VITTIME DELLA 180
Le testimonianze che mostrano come la 180 sia inefficienza, crudeltà, sfruttamento, superstizione

Vittime della 180

Dimostrare che la legge 180 è dannosa e, spesso, omicida

Genesi Della 180

Oggi è difficile capire cosa era la malattia mentale.  Era una malattia che  riduceva in qualche decina di anni giovani intelligenti e volitivi in dementi immobilizzati nello stupore catatonico.  In Italia abbiamo avuto la fortuna di avere quello che possiamo ben definire il cantore della follia: Mario Tobino, poeta, scrittore, valente psichiatra e  direttore dell’Ospedale psichiatrico di Lucca.  Credo che i libri di Tobino dovrebbero diventare una lettura obbligatoria per gli specializzandi in psichiatria.  Ormai con lo psicofarmaco nessun medico vede più il malato e la malattia nel suo tremendo, squassante orrore.    E quindi non la conosce. Nel 1930 Sackel, un medico ebreo-ucraino, mostrava , per la prima volta, che la malattia era curabile con la scoperta del coma insulinico.    Ha avuto 5 nomination per il Nobel.   Nel 1938 un altro passo avanti: l’italiano Cerletti  introduceva l’elettroshock, che è tuttora la più innocua e praticata cura al mondo per il trattamento della depressione.   Non in Italia dove, per motivi unicamente ideologici, è stato presso che abbandonato.     Nel 1950 fu scoperto il primo psicofarmaco.     Intendiamoci: le cure non guariscono la malattia: la psicosi rimane una patologia di tutta la vita.  Però ne possono diminuire i sintomi, allungare i periodi di latenza, bloccarne l’evoluzione, ridurre le crisi di violenza.   Lo psicofarmaco, così come le cure di urto,  può diventare, nei casi più fortunati, quello che è l’insulina per il diabetico: permette una quasi totale normalità. L’introduzione degli psicofarmaci ha ovviamente portato un cambiamento della struttura sanitaria: gli Ospedali psichiatrici si sono aperti e si sono rimpiccioliti.  L’assistenza è stata portata sul territorio. La chiusura permanente o quasi del malato in apposite strutture  è diventata necessaria solo nei rarissimi casi di forti tendenze omicide o suicide e di assoluta resistenza alle cure (il 25% dei malati non trae beneficio dagli psicofarmaci).    Tutti i paesi europei dal 1975 al 1990 hanno adeguato la legislazione e le strutture a questa nuova realtà (Francia 1985, Danimarca 1989, UK 1983, Germania 1992, Svezia 1985 ecc.). A volte la legge è già stata riformata più volte.  Come per esempio nel caso dei nostri vicini ticinesi.   Qualche anno fa hanno di nuovo cambiato una precedente legge. Una legge per 300.000 persone, che ruota intorno all’Ospedale Psichiatrico di Mendrisio, rinnovato e ristrutturato. Anche in Italia,  nel 1968, vi era stata la riforma Mariotti, un umano medico deputato socialista, che metteva la struttura psichiatrica italiana al passo con i tempi.  Sembrava che tutto stesse andando per il meglio.  Le strutture ospedaliere avevano raggiunto, anche se non in tutte le regioni,  una ragionevole efficienza. Il malato vi rimaneva mediamente 1 mese e mezzo, veniva curato abbastanza bene e veniva dimesso in buone condizioni Ma…….Lasciamo parlare Tobino, che era direttore dell’Ospedale psichiatrico di Lucca:    “ Ma ecco il vento maligno.   Arriva la Moda, la Demagogia e, lo dico subito, i mezzi di diffusione, oggi così potenti, sono tutti per loro.  Tutti uniti nell’andazzo.   Radio, televisione, rotocalchi, giornali, tutti alla ricerca di novità e di scandali: il passato era un misfatto, i manicomi, con i loro medici ed i loro infermieri, pozzi di reclusione. Per di più,  inaspettati, piovono su questo terreno legioni di psicologi.  Ogni anno l’Università ne sforna a centinaia.   E loro che fanno ? Che possono fare ? Ma che fortuna!  La psichiatria ha le porte sfondate. Infiliamoci dentro.  E gli psicologi  spiegano ed illustrano, fanno luce.  Li guariranno tutti.   Sono loro che conoscono la malattia mentale, che la frequentano fin da bambini.   Ed ecco il proclama finale: La malattia mentale non esiste, non è mai esistita.  Sono stati la Società, il Potere a crearla.  La Società ed il Potere hanno eretto i manicomi per rinchiudere chi disturbava il loro sfruttamento sugli altri esseri umani………… …….Ci sono altre ventate di moda: la Zona, il Settore.  Per esempio i malati di Viareggio debbono essere tutti raggruppati insieme, acuti o cronici, comunque siano. Quelli di Lucca in un altro reparto, stretti assieme……….. ………C’è la ventata della Istituzionalizzazione.   E’ il manicomio, l’Istituto, proprio lui, che ha creato i matti.    E allora via di qui i ricoverati, da queste mura infette.  Via con qualunque mezzo.  E’ qui, nel manicomio, che il folle diventa più folle.  E dunque  via, fuori, si inserisca nella società.   Ed il manicomio si smantelli, si distrugga. …….C’è però da ridere ad una constatazione.   Tali rivoluzionari non nominano mai, o li nominano a denti stretti, gli psicofarmaci.   Li usano, eccome.  Ed a dosi massicce.  Ma non ne vogliono parlare perché sarebbe come confessare che sono stati gli psicofarmaci a zittire ed a tacitare la follia e non loro.   Sono stati gli psicofarmaci a rivoluzionare i manicomi.  Non loro……….. Una situazione così anomala, non si crea ovviamente dal nulla. Ha bisogno di un retroterra  culturale e politico di supporto. L’Italia era infatti, al confronto degli altri paesi europei, in una situazione particolare.  Erano gli anni di piombo.  Gli anni  delle Brigate Rosse e delle loro 400 vittime.    Il 35 % degli elettori italiani votava per il Partito Comunista.  E tra questi non tanto i più poveri, ma il vertice  intellettuale, giornalistico e finanziario del paese.   Il Partito Comunista si stava trasformando in quello che è oggi: il partito degli alto borghesi.     E’ in questo ambito che sono maturate le riforme della famiglia, della magistratura, della scuola, delle pensioni, cui oggi con fatica si tenta di rimediare.   Riforme  fatte per l’idea e non  per l’uomo.   E per una idea che stava morendo in tutto il mondo.  Una vena di cupa follia sembrava avere colpito tutti: venivano presi ad esempio di buon  governo la Cina ed i paesi dell’Est.   E questo alla vigilia, peraltro,  del crollo del Comunismo Per quanto riguarda la psichiatria, Basaglia, ricchissimo alto –  borghese di Venezia e, ovviamente,  comunista e ben addentellato con il PCI,  sosteneva che “il problema non è la malattia in sé, ma quale sia il tipo di rapporto che venga ad instaurarsi con il malato, in quanto la malattia gioca un ruolo puramente accessorio”.   I ricoverati nei manicomi – per Basaglia –  non erano malati, ma erano elementi socio-economicamente insignificanti, che erano stati spinti fuori dal sistema produttivo della società capitalista. La psichiatria esercitava  su questi malati una ulteriore violenza che tendeva  ad aiutarli ad adattarsi alla loro condizione di oggetti della violenza stessa.     Basaglia era tra i  fondatori di Psichiatria Democratica.     Anche questo fa capire i tempi: un aggettivo riferito ad una funzione politica, viene attribuito a caratteristiche professionali.   Ne sono state coinvolte le professioni di scarsa tecnologia o di minor carica etica.   Abbiamo psichiatria  Democratica e, purtroppo,   Magistratura Democratica. Non abbiamo, per fortuna, avuto il privilegio di godere dei servizi dei “ Chirurghi democratici” o degli “Ostetrici Democratici”  o degli “Ingegneri Democratici”.      Nei più avanzati  paesi europei i Comunisti erano partiti trascurabili senza alcuna presa sull’opinione pubblica e quindi l’assistenza psichiatrica ha avuto una sua naturale e ragionevole evoluzione.    Qui da noi erano forza di Governo, anzi erano  la forza trainante dei governi dell’epoca, e quindi, sulla base delle affermazioni di Basaglia, si  è avuto  la 180.  Che in realtà è una non legge, in quanto non da norme precise.      Impone solo la distruzione dell’esistente.  Il futuro è lasciato nel vago. Infatti, se il malato non è malato,  che senso ha definirne luoghi e modalità di cura ed il loro controllo ?   E, purtroppo, dopo la chiusura dgli Ospedali Psichiatrici, sancita dalla 180,  prendevano sempre più forza  le teorie di Basaglia che indirizzavano la psichiatria verso prassi di   assoluta inefficienza. E’ difficile descrivere  oggi cosa sono stati quei terribili anni.  Chi scrive li ha vissuti ed inoltre aveva già avuto una notevole esperienza dei preesistenti Ospedali psichiatrici.   Il primo sentimento di chi conosceva il problema,  è stato di stupore.    Chi aveva un minimo di cognizione del problema,  sapeva  bene che la malattia mentale esisteva. Altro che se esisteva. Ed esisteva per conto proprio, nella sua orrenda capacità di distruzione di una persona, indipendentemente da strutture e società.   Era anche chiaro che la situazione stava sempre più migliorando.   Dell’utopia, delle strida, dell’indignazione di Psichiatria Democratica non si sentiva nessun bisogno. Nessuno  immaginava che si sarebbe potuto approvare una  legge così banale e distruttiva , per giunta contro delle istituzioni che stavano facendo, pur tra luci ed ombre, il loro dovere.   Ed invece, per bloccare un referendum fatto dai radicali, le legge  era passata. Dopo il famoso 31 dicembre 1980, in cui la 180 era entrata in vigore,  vi era stata la strage dei dimessi dagli Ospedali.    Solo seguendo la cronaca dei giornali, ero arrivato in  un mese e mezzo alla cifra di 150 morti: suicidi, caduti sotto il treno, morti di freddo all’aperto.  Ma erano almeno 10-20  volte di piu’.    Commentando gli immediati risultati della 180, Tobino scriveva “Sono costretto a contare quanti malati sono stati dimessi, curati nelle loro case, e quanti se ne sono già suicidati. Liberamente si sono gettati sotto il treno, avvelenati, sgozzati, giù dalla finestra, per la tromba delle scale…….. Più di cento se ne sono ammazzati, tutti nostri ex-ricoverati. Si viene anche a sapere che diversi malati, spinti fuori, nel mondo, sono già in galera, arrestati per atti che avevano commesso.  Nessuno più li proteggeva, li consigliava, li impediva. Nessuno più li conduceva per mano lungo la loro difficile strada. Ed ora precipitano, si apre per loro il manicomio criminale………..”.   Sono alcune righe del suo ultimo libro ”Gli ultimi giorni di Magliano”. Naturalmente la cosa aveva gettato nella disperazione le famiglie dei malati.  Non solo i familiari dei dimessi, ma anche i familiari dei nuovi malati,  che si erano trovati senza più nessuna forma di assistenza. La situazione dei malati, oltre che dalla mancanza di strutture, era resa ancora più grave dall’atteggiamento dei demo-psichiatri, che uscivano dalle università sessantottine, ignoranti,  fanatici e violenti.   Portati a dare importanza alle loro idee, fregandosene dei bisogni del malato. Quindi se, dopo essere stato liberato dall’”infamia” del manicomio, il malato continuava ad essere malato e magari violento, la colpa non era di una inesistente – a loro giudizio-  malattia, ma del fatto che o il malato era in realtà un delinquente  o l’ambiente familiare era gravemente patologico. Maturavano allora tutti i problemi che ci ritroviamo oggi ancora vivi, anche se attenuati dal maggior buon senso che gli anni passati hanno costretto a maturare. Centro e fulcro della cura diventava l’Ospedale Generale: il posto meno adatto per una efficace cura del malato e che diventava l’odierna fossa dei serpenti. La scientificità e la serietà della cura veniva  abbandonata. La psichiatria diventata il regno degli psicanalisti. Figure che, in una malattia dovuta ad alterazioni,  oggi visibili, della corteccia cerebrale,   non dovrebbero avere niente da che fare.  Ci si dilettava ( e ci si diletta) nella fraseologia delle stupidissime teorie basagliane: riabilitazione, istituzionalizzazione, territorio, stigma, disturbo mentale ed altre sciocchezze del genere. La malattia mentale continua ad alimentare la cronaca nera dei quotidiani.   Vi è addirittura una fortunato trasmissione televisiva (Chi l’ha visto?) che parla, nell’80 % dei casi,  di schizofrenici scomparsi. E poi l’emergenza: il malato si scatenava e sfasciava la casa o tentava di assassinare il padre. Cosa si poteva fare ?    Di chiamare la polizia la famiglia non aveva naturalmente voglia.   La struttura del Centro di igiene mentale di notte non operava. L’ambulanza diceva di aver bisogno della firma del sindaco per fare un TSO.       Per non parlare poi del giovanissimo malato agli esordi.  La risposta della struttura era regolarmente: ” Mi porti qui suo figlio “.    Figlio che naturalmente di andare dallo psichiatra non aveva nessuna intenzione. Come sempre, nei periodi di acuta ed inesaudita necessità, si moltiplicavano le soluzioni miracolistiche: a Milano uno psicanalista, un certo Vermiglione,  si specializzava nel plagio di ricchi schizofrenici che gli cedevano i beni in cambio di una futura e dubbia serenità psichica.  Non era un fatto isolato. Pullulavano psicanalisti di fama che sostenevano che, curando la famiglia, tutto si sarebbe risolto.  Naturalmente la cura si risolveva nel trasferimento  di una cospicua parte del patrimonio familiare nelle tasche dello psicanalista stesso. C’erano poi gli iper ottimisti.   Nel momento peggiore,  c’era sempre chi, giulivo, ripeteva che “Tutto va ben, madama la marchesa……..”.   In  Piemonte vi era il famoso Pirella,  esponente della categoria demo-psichiatrica, che davanti ai  familiari, con la bava alla bocca ed i denti digrignanti, assicurava che meglio di così la situazione non poteva essere.   Era il responsabile della Psichiatria nella Regione Piemonte. E’ scomparso dalla scena pubblica quando i Carabinieri hanno trovato in un appartamento alla periferia di Torino un ragazza legata ad un calorifero. Erano stati chiamati dai vicini impressionati dalle urla provenienti dall’appartamento.   Era una schizofrenica gravissima che i genitori, non sapendo cos’altro fare, legavano al calorifero  alla mattina prima di andare a lavorare. I genitori non erano ignoranti e crudeli aguzzini. Il padre era infermiere in un Ospedale pubblico, travolto dalla tragedia e dal crudele disinteresse delle  strutture. I familiari avevano cercato di reagire.   Non era e non è facile: chi ha in casa il tormento quotidiano e continuo di una malattia grave, assillante e magari violenta, non ha in genere la forza di dedicarsi alla socialità.   Comunque a Roma un professore di liceo, il prof. Forleo, che aveva in famiglia un problema gravissimo, aveva fondato la Diapsigra,  Difesa Ammalati Psichici Gravi, poi purtroppo finita banalmente.   Sempre a Roma  Maria Luisa Zardini, fondava l’Arap, Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica.            Altri familiari si radunavano qua e là sotto l’egida di preesistenti associazioni per gli handicap psichici.   Da notare che prima della legge 180, non si era mai sentita la necessità di una difesa delle famiglie e dei malati tramite l’associazionismo. La situazione era talmente grave che nel 1982, Psichiatria Democratica pubblicava una relazione tecnica ed una raccomandazione al Governo ed agli altri enti in cui concordava “Sulla necessità di precisazioni e chiarificazioni sugli aspetti prescrittivi della legge”, dando naturalmente la colpa di quanto accaduto a chi aveva “intenzionalmente svuotato la legge di ogni forza applicativa e l’aveva privata dei sostegni necessari”.  In definitiva chiedeva “l’elaborazione di un corpo di norme attuative, avente una definizione legislativa”.  Una nuova legge insomma. In realtà  la situazione era ormai sfuggita di mano anche a loro: quando si andava a Trieste –la mecca del Basaglianismo – si trovava – tra i semplici psichiatri, non tra i capi – una atmosfera piuttosto sfiduciata.   In nessuna parte di Italia era stato ripetuta neanche quella parte di buono che, dal punto di vista soci-riabilitativo,  a Trieste era stato fatto . Anche perché il sistema triestino era  inquinato dalle consuete ipocrisie di fondo dei sistemi comunisti.  Ad esempio, a Trieste la strombazzata chiusura dell’Ospedale Psichiatrico era stata soprattutto  simbolica. In realtà il S. Giovanni, l’Ospedale Psichiatrico,  sussisteva con ben 200 ricoverati gravissimi ed anziani che  i Basagliani non avevano avuto il coraggio di  buttare sulla strada.  In tutta Italia del messaggio di Trieste era stato preso solo l’aspetto  un po’ carnevalesco: chiudiamo i manicomi ed andiamo tutti a casa  Se qualche cosa si deve fare, lo facciamo nei reparti degli Ospedali Generali, dove imbottiamo per bene i malati di calmanti  perché non diano fastidio e poi, il più presto possibile,  a casa e che non rompano le scatole. L’applicazione della legge si manifestava anche  in forme del tutto opposte a quelle che i suoi ideatori  avevano auspicato.  Per esempio volevano rendere difficile il Trattamento Sanitario Obbligatorio in Ospedale.  Ebbene in tutte le Regioni, il TSO viene fatto solo in Ospedale.   Volevano evitare l’istituzionalizzazione ed adesso i malati rimangono molto più  a lungo nelle “comunità ” come oggi vengono pudicamente chiamati i manicomi.  (vedere il rapporto sulla situazione oggi in Italia) Comunque ormai la  180 era diventata il simbolo di un, forse unico,  successo del Comunismo. Inoltre gli slogan che l’accompagnavano erano di facile presa: ”La legge che ha chiuso i manicomi”.   “ La legge che tutto il mondo ci invidia.”  Cose ovviamente non vere. Nessun paese l’ha imitata ed i manicomi erano stati chiusi nel 1908. . In questi anni, ad ogni legislatura, persone di buon cuore hanno presentato proposte di riforma della legge.  Ne sono state presentate più di 40.   Parlamentari di destra e di sinistra.    Peraltro c’è sempre stata una vischiosa, tenace resistenza anche solo a parlare del problema.   La 180 è diventata per un post comunista, come il Corano per un Musulmano.  Perfetto. Non può essere cambiato da mano umana. Purtroppo  la 180 è anche  una legge comoda per gli psichiatri ed ancor più per gli psicanalisti e gli altri operatori.   Il malato è o in famiglia o in Ospedale. Molto peggio sarebbe averlo giorno e notte in una struttura riabilitativa specializzata dove bisogna lavorare come negri. La situazione è quindi molto difficile. Chi ha veramente a cuore il malato si trova stretto tra l’interessato conservatorismo dei medici, il menefreghismo delle forze di destra e l’ideologizzazione di quelle di sinistra. La 180 è stato ed è una vergogna collettiva italiana.  Quando si manifestano fatti così aberranti, quando un intero paese viene reso complice di crimini così gravi,   non  basta limitarsi a dire che era una legge democraticamente approvata.          Ci vuole  una rimeditazione etica di tutta questa vicenda. Quel 35% di italiani che nel 1978 erano comunisti – una parte importante, determinante, intelligente e volitiva del paese  – così come hanno fatto ( a volte, solo a volte!) ammenda della loro passata adesione alla ideologia più sanguinaria ed inefficiente che la storia ricordi, deve  anche ricordare e fare ammenda per tutti questi poveri malati morti.     Questa disperata umanità sacrificata con leggerezza e superficialità all’ideologia.   La vicenda dei malati di mente è stata la nostra piccola Cambogia.  Basaglia il nostro Pol Pot.  Abbiamo ucciso i più deboli ed i più malati di noi. Nessuno può sentirsi, al riguardo,  in pace con la propria coscienza.  Tobino, che pure la legge l’aveva combattuta, dice nel suo ultimo libro:  “Addio, cari amici. Abbiamo passato insieme più di quaranta anni.  In questi ultimi tempi , nel fumo della moda,   non vi ho saputo né proteggere, né vendicare.   Ero rimasto solo .  E da solo non ne avevo la forza”.  Nessuno in Italia ha  saputo né proteggere, né vendicare questi  malati.       Nessuno ha fatto tutto il possibile per far cessare questo scempio che sta durando da 40 anni.  Non c’è stata, in Psichiatria, nessuna Resistenza.  Se ci fosse stata l’esplosione della collera popolare, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Forse avremmo dovuto rovinare  un po’  la nostra  comoda esistenza per affermare il diritto alla vita di qualche psicotico.  Forse noi italiani non siamo stati abbastanza uomini.