Brianza. Un matricidio annunciato
Sono la sorella di un uomo affetto da schizofrenia paranoide diagnosticatagli nel 1993 all’età di 29 anni. Mio fratello non ha mai avuto coscienza della propria malattia e, pertanto, non ha mai voluto seguire di sua spontanea volontà alcuna cura. Per anni abbiamo chiesto ai CPS di zona (gli ambulatori psichiatrici a disposizione dei cittadini) un aiuto. Ci sono stati solo i ricoveri presso il reparto psichiatrico dell’Ospedale di zona, i cosidetti “TSO” ovvero i trattamenti sanitari obbligatori, l’unico “strumento concreto” utilizzabile quando le minacce e l’aggressività diventano insostenibili. Peraltro questi ricoveri avvengono in un ambiente inadatto, anzi nocivo, ad un malato di questo tipo e per troppo poco tempo per poter avere una concreta diminuzione dei sintomi della malattia ed una presa di coscienza del malato del proprio stato.
Il risultato è stata un’assistenza discontinua ed un inesistente programma di cura e prevenzione. Inoltre vi è sempre stata da parte del CPS una minimizzazione della gravità della situazione. Anzi ci sembrava quasi che avrebbero preferito non interessarsi per niente di un malato così grave: agivano, e poco, solo dietro le nostre sollecitazioni. Dopo un pò mio fratello veniva nuovamente lasciato senza cure.
Ci siamo sempre sentiti abbandonati a noi stessi e, purtroppo, consapevoli che giorno per giorno la malattia peggiorava. Tra l’altro i deliri di persecuzione di mio fratello si rivolgevano verso nostra madre, che diventava sempre più oggetto dei suoi maltrattamenti e delle sue minacce. Molte volte abbiamo invano chiesto aiuto ai Carabinieri ed alla struttura denunciando la pericolosità della situazione.
Nel 2001, all’età di 37 anni, ha commesso il matricidio, una morte annunciata viste le minacce e aggressioni perpetrate nel corso degli anni. Visto l’iter di una terribile malattia lasciata libera di agire sulla mente di un uomo nato sano ed al quale è stata negata la possibilità di vivere una vita normale.
E’ stato assolto in quanto dichiarato “incapace di intendere e di volere al momento dell’omicidio”, con l’applicazione di una misura di sicurezza di 10 anni da trascorrere presso un Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Noi sorelle abbiamo intrapreso una causa contro la Struttura Sanitaria della ns. zona, con l’intento di evidenziare in maniera incisiva che “il sistema” dopo la Legge 180 non funziona. Purtroppo il cammino è lungo. Ad oggi abbiamo superato due richieste di archiviazione della nostra denuncia ma ci sembra di capire che la questione venga più che altro trattata in termini economici e non è stato ben compreso il nostro intento.
Noi vorremmo infatti che i malati psichici e le loro famiglie siano supportati in modo concreto e costante: è fondamentale che l’assistenza sia continua. Se il malato non assume i farmaci prescritti deve essere obbligato. E l’obbligo deve avvenire in strutture che garantiscono una buona qualità di vita del malato. Dopodichè si potranno predisporre i vari programmi per il reinserimento nella società. Ma non prima. Non basta diagnosticare la malattia e aspettare passivamente, come attualmente fa la struttura.
Purtroppo il dolore personale talvolta è così forte da schiacciare le nostre forze ma abbiamo il dovere morale di provarci. Sappiamo però che il nostro non è un caso isolato. Ma dove sono tutti gli altri familiari/parenti/amici di malati psichici che soffrono come noi, ai quali magari potremmo evitare una morte atroce, come è successo a mia mamma ?
Sui quotidiani di questi giorni si legge che il Ministro della Salute Livia Turco vuole chiudere gli O.P.G. Sarebbe l’ultima crudeltà. Bisogna mobilitarsi affinché ciò non avvenga e cogliere invece l’occasione per porre in luce, ancora una volta, il problema della malattia psichica sempre troppo sottovalutato e della legge inadeguata e crudele. I media riportano la notizia dei fatti di sangue in cui sono implicati i malati, come episodi quasi normali. Non è vero: sono causati da una legge malfatta e dalla deresponsabilizzazione delle strutture. I malati di mente vanno curati e seguiti costantemente, come la loro malattia richiede.
Dobbiamo essere fiduciosi e propositivi, sempre e nonostante tutto. È quello che mi ripeto ogni giorno.
Laura